ACCESSO AGLI ATTI DEL FALLIMENTO
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In ambito della facoltà di accesso agli atti del fallimento, deve escludersi, in via generale, che i terzi abbiano diritto alla consultazione del fascicolo fallimentare, potendo ammettersi solo che sia consentito loro di prendere visione ed estrarre copia, oltreché degli atti che, per disposizioni di legge, sono destinati ad essere pubblicati (come la sentenza dichiarativa del fallimento e le ordinanze di vendita di beni fallimentari) o ad essere resi conoscibili in funzione della partecipazione di terzi a determinate operazioni (come le perizie di stima e le certificazioni di pubblici uffici relative a beni fallimentari da liquidare), soltanto di quegli specifici atti, dei cui effetti i terzi sono destinatari, ovvero rispetto ai quali sussiste un loro interesse, giuridico e non di mero fatto, tale da legittimarli al reclamo ex art. 26 o ex art. 361. fall. (trib. Roma 24 giugno 1970, cit.).
Articolo a cura dell‘Avvocato Bertaggia di Ferrara.
FACOLTA’ ACCESSO AGLI ATTI DEL FALLIMENTO: QUANDO SI PUO’ OTTENERE, LE INDAGINI DIFENSIVE
Tuttavia, in base ai principi dell’ordinamento vigente, non può negarsi ai terzi la facoltà di accesso all’intero fascicolo fallimentare, quando ciò si renda necessario per la realizzazione di un interesse costituzionalmente protetto, qual è quello della persona accusata di un reato alla acquisizione di ogni mezzo di prova a suo favore nel processo penale (art. 111 comma 3 Cost., introdotto dall’art. 1 l. Cost. n. 2, cit.): il che si giustifica, nell’ottica di una interpretazione evolutiva della disciplina fallimentare, alla luce, altresì, del già richiamato principio costituzionale dell’inviolabilità del diritto di difesa (art. 24 comma 2 Cost.), principio cui deve riconoscersi forza espansiva, quale criterio guida dell’interpretazione normativa, anche al di là del singolo processo, in cui viene ad essere oggetto di giurisdizione, penale o civile, una determinata posizione giuridica soggettiva sostanziale.
La persona che ricopre la carica di amministratore della società fallita, quando agisce per la propria difesa in relazione ad un processo penale per reati fallimentari, non rappresenta la società, in quanto cura un proprio interesse personale, ed è, dunque, rispetto alla procedura fallimentare, terzo e non parte.
La medesima persona può, allora, essere autorizzata a consultare, personalmente o tramite i suoi difensori e consulenti tecnici, il fascicolo fallimentare, onde trarne elementi di prova a suo favore, da utilizzare in un processo penale, in cui sia accusata di reati fallimentari in ragione della sua carica nella società fallita. (TRIBUNALE DI ROMA 18 gennaio 2000). Per il principio della parità delle posizioni processuali ciò dovrebbe essere garantito anche alla difesa della parte offesa. E’ pertanto efficace, in questo senso depositare un’istanza ai sensi dell’art 367 c.p.p. al P.M. titolare delle indagini.
Tale principio appare però di molta rara e difficile applicazione, difatti la Suprema Corte così si esprime con particolare cautela in merito alla facoltà di accesso agli atti del fallimento: Cass. civ. Sez. I, 23/04/2003, n. 6478 (rv. 562433), il cosiddetto “amministratore di fatto” di società di capitali, equiparato all’amministratore di diritto soltanto sul piano degli obblighi e delle conseguenti responsabilità, civili e penali, assunti con l’esercizio dell’attività amministrativa, ma assolutamente privo del potere di rappresentanza della società nella procedura di fallimento alla quale questa sia assoggettata, non può vantare i diritti che in tale procedura competono al fallito, compreso quello alla consultazione degli atti del fascicolo processuale; né è desumibile dall’art. 76 disp. att. c.p.c. o dalla disciplina del fallimento un generale diritto alla consultazione degli atti da parte di soggetti estranei alla procedura – quale è l’amministratore di fatto -, potendosi riconoscere a questi ultimi la facoltà di prendere visione dei soli atti destinati alla pubblicazione (sentenze, ordinanze di vendita) o ad essere conoscibili (perizie di stima) o degli atti dei cui effetti i terzi sono destinatari o rispetto ai quali gli stessi vantano un interesse non di mero fatto che li legittima ai reclami ex artt. 26 e 36 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267); né, infine, il diritto di libera consultazione in esame può essere confuso con l’accesso disciplinato dalla legge 7 dicembre 2000, n. 397, sulle indagini difensive in sede penale, trattandosi, in tale ultimo caso, di accesso procedimentalizzato, vincolato a determinate forme, e concettualmente distinto dal predetto diritto di consultazione ai fini della difesa in sede civile.
FACOLTA’ ACCESSO AGLI ATTI DEL FALLIMENTO: LE DIFFICOLTA’
Il sistema processuale, fin qui esaminato, mostra ulteriori e più gravi limitazioni, che riguardano anche le parti direttamente interessate, in quanto la normativa di cui agli artt. 743 e seguenti c.p.c e 74 disp. di att. c.p.c. non trova diretta ed immediata applicazione rispetto agli atti della procedura fallimentare.
In quest’ultimo ambito, per le note implicazioni penalistiche del procedimento fallimentare, sarebbe stata opportuna una particolare disciplina delle facoltà del difensore in sede penale, onde superare le difficoltà derivanti da interpretazioni e prassi restrittive con le quali viene tutelata la riservatezza caratteristica degli atti fallimentari sia nei confronti della parte che nei confronti di terzi e rispettivi difensori. Costoro, infatti, in base al generale principio della funzione documentazione pubblicistica avente efficacia erga omnes (art. 743 c.p.c.), non incontrano limitazioni alla conoscibilità ed al rilascio di copie ed estratti di atti del procedimento fallimentare soltanto se si tratta di atti pubblici o sottoposti ad apposite forme di pubblicità, quali la sentenza dichiarativa di fallimento e le ordinanze di vendita dei beni del fallito.
Quanto agli altri atti, interpretazione e prassi restrittive sono nel senso che la consultazione del fascicolo fallimentare non sarebbe effettuabile da parte di chiunque vi abbia interesse, né potrebbe riguardare indiscriminatamente tutti gli atti.
La consultazione sarebbe consentita in questi casi soltanto a seguito di apposito provvedimento del G.D., ricorribile innanzi al Tribunale, in relazione ad atti specifici e soltanto a quei soggetti, che dimostrino di avere un interesse diretto concreto ed attuale in riferimento ad essi.
Quanto ai terzi, e tra questi soprattutto i terzi coinvolti nei fatti di bancarotta o a questi connessi, l’indirizzo restrittivo seguito dagli uffici fallimentari è nel senso che costoro per potere consultare il fascicolo fallimentare ed ottenere il rilascio eventuale di copie o estratti, oltre a consentire la loro identificazione dovrebbero specificare in apposita istanza quali atti intendono visionare ed indicare il loro interesse attuale e diretto, rilevante ai fini dell’accoglimento della istanza, con riferimento a specifiche esigenze difensive, da delibarsi da parte del Giudice Delegato.
Fortunatamente si ha ancora occasione di leggere qualche illuminata pronuncia in proposito, come l’ordinanza del Tribunale di Roma del 18 gennaio 2000 la quale in tema di consultazione della documentazione fallimentare ha aperto un squarcio considerevole, facendo puntuale applicazione dei principi costituzionali innanzi richiamati. Le indicazioni della suddetta ordinanza, certamente non avranno subito la estensione che esse meritano, ma sono sufficienti a fare sperare che il loro richiamo nelle istanze del difensore in sede penale, quanto a consultazione di atti giudiziari, possa, quanto meno, evitare che le istanze stesse siano esaminate con l’animo di chi, senza il dovuto garbo, si pone di fronte ad uno scocciatore inopportuno del quale occorre subito liberarsi.
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Autore. Studio Legale Internazionale Bertaggia – Titolo Accesso agli atti del fallimento, in www.avvocatobertaggia.org
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Articolo aggiornato al 21 Dicembre 2019