Esterovestizione Societaria: Cos’è, normativa e difesa fiscale

Aprire una società all’estero non è di per sé illegale. Ma farlo solo sulla carta, mentre la gestione reale resta in Italia, può costare caro. Molto caro. Parliamo di esterovestizione societaria, una delle contestazioni più frequenti (e pericolose) mosse dall’Agenzia delle Entrate contro imprenditori, professionisti e gruppi internazionali che operano (o credono di poter operare) oltreconfine.

Una fattispecie che, se mal gestita, espone a sanzioni milionarie, sequestri patrimoniali e responsabilità penali personali.

Non serve neppure la prova di un intento fraudolento: basta la sostanza dei fatti. Se la sede legale è in un Paese estero, ma la sede operativa è in Italia, quindi le decisioni, l’amministrazione o gli interessi economici sono effettivamente nel nostro paese, l’impalcatura giuridica viene disconosciuta e la società viene considerata residente fiscalmente in Italia, con tutti gli effetti che ne conseguono.

In questa guida approfondita analizzeremo:

  • Cos’è esattamente l’esterovestizione di una società e come si manifesta nella prassi;
  • Quali sono i criteri normativi, le presunzioni legali e i mezzi di prova previsti dall’ordinamento italiano;
  • Come difendersi efficacemente da un’accusa dell’Agenzia delle Entrate, con una struttura di governance documentata e difendibile;
  • Quali sono i confini tra pianificazione fiscale legittima, abuso del diritto ed evasione;
  • E infine, quali strategie adottare per operare all’estero senza esporsi al rischio di accertamenti, sanzioni e responsabilità penale.

Se stai valutando l’internazionalizzazione della tua impresa, oppure hai già ricevuto un avviso di accertamento per esterovestizione, questa non è una lettura qualsiasi: è una linea guida per proteggere il tuo patrimonio e la tua libertà.

Cos’è l’esterovestizione societaria?

L’esterovestizione è la situazione in cui una società, pur avendo sede legale o formale all’estero, è in realtà gestita, diretta o amministrata dall’Italia. In tal caso, l’ordinamento italiano considera la società fiscalmente residente in Italia, a prescindere dalla sua registrazione in altra giurisdizione.

Non si tratta di una mera irregolarità: l’esterovestizione è una violazione sostanziale delle norme tributarie, con effetti retroattivi su tutti i redditi prodotti e dichiarati come esteri.

Quando una società è considerata esterovestita?

La residenza fiscale di una società è stabilita in base ai criteri previsti dall’art. 73 del TUIR, che individua tre parametri alternativi:

  • la sede legale;
  • la sede dell’amministrazione;
  • l’oggetto principale dell’attività.

Basta che uno di questi tre elementi sia in Italia affinché la società sia considerata fiscalmente residente nel territorio dello Stato, anche se è formalmente costituita all’estero.

È sufficiente quindi che le decisioni strategiche, le riunioni del consiglio di amministrazione o la gestione effettiva si svolgano in Italia per configurare l’esterovestizione.

Differenza tra residenza fiscale e sede legale

Uno degli equivoci più diffusi è confondere la sede legale (quella indicata nell’atto costitutivo) con la residenza fiscale effettiva.

La sede legale è un dato formale, la residenza fiscale è un fatto. Ciò che conta per il Fisco è dove si svolge concretamente l’attività di gestione, dove risiede l’amministratore, da dove partono le direttive operative, dove sono conservati i documenti contabili, e dove si prendono le decisioni aziendali.

Una società con sede legale a Dubai, ma con uffici operativi, contabilità e direzione effettiva in Italia, è a tutti gli effetti una società italiana esterovestita.

Normativa Italiana sull’esterovestizione di società

Negli ultimi anni, il quadro normativo sull’esterovestizione si è ulteriormente irrigidito.

La Legge n. 234/2021 (“anti–tax avoidance”) ha rafforzato le misure contro l’uso artificioso di strutture estere, introducendo controlli più stringenti sui requisiti di “sostanza economica” e nuovi criteri per l’attribuzione della residenza fiscale.

Parallelamente, il decreto Legislativo 25/2024 ha incrementato in maniera significativa le sanzioni amministrative e penali per i reati tributari connessi all’esterovestizione, prevedendo in alcuni casi aumenti fino al 50% rispetto alle precedenti soglie.

In linea generale, la disciplina sull’esterovestizione trova il suo fondamento nell’art. 73 del TUIR e in numerose pronunce della giurisprudenza di legittimità e di merito. La logica del legislatore è impedire che soggetti formalmente esteri eludano la fiscalità italiana, quando in realtà la loro direzione e amministrazione sono riconducibili al territorio nazionale.

Presunzione di residenza fiscale e prova contraria

In presenza di determinati indici presuntivi, l’Agenzia delle Entrate può ritenere una società fiscalmente residente in Italia. Tra questi:

  • presenza in Italia della maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione;
  • controllo di fatto esercitato da un soggetto residente in Italia;
  • sede della direzione effettiva situata nel territorio italiano.

In questi casi, la residenza fiscale italiana è presunta ex lege, ma si tratta di una presunzione relativa, che il contribuente può superare fornendo prova contraria: documentazione, corrispondenza, localizzazione del personale, sede decisionale all’estero, etc.

Inoltre, il DL 75/2023 ha introdotto tra gli indici presuntivi anche le sedute di Consiglio di Amministrazione ibride (parte in presenza, parte da remoto) svolte prevalentemente dall’Italia, considerando tali riunioni un elemento rilevante per la determinazione della residenza fiscale.

Il concetto di sede di direzione effettiva

Elemento cardine per la qualificazione della residenza fiscale è la cosiddetta “sede di direzione effettiva”, ossia il luogo in cui vengono assunte le decisioni fondamentali che orientano la gestione dell’impresa.

Non si tratta della sede formale indicata nell’atto costitutivo, ma del luogo dove si esercita il potere direttivo e gestionale.

La Cassazione (tra le tante, sentenza n. 2869/2022) ha più volte ribadito che la sede di direzione effettiva prevale su quella legale ai fini della determinazione della residenza fiscale.

La gestione ordinaria e la sede dell’amministrazione

Altro criterio spesso determinante è la gestione ordinaria, ovvero il luogo in cui:

  • si tengono le riunioni operative;
  • viene gestita la contabilità;
  • operano i dipendenti o i collaboratori;
  • si firma la corrispondenza commerciale e fiscale.

Una società che in apparenza risiede all’estero, ma la cui struttura operativa e decisionale è radicata in Italia, non può sottrarsi alla giurisdizione fiscale italiana. E, in tal caso, sarà assoggettata a tassazione in Italia per tutti i redditi ovunque prodotti.

Le normative internazionali e i trattati contro la doppia imposizione

Nel contesto dell’esterovestizione societaria, il quadro normativo italiano non può essere considerato isolatamente.

È infatti fondamentale integrare l’analisi con le Convenzioni internazionali contro la doppia imposizione (CDI), siglate tra l’Italia e altri Stati, che regolano i criteri di attribuzione della residenza fiscale in presenza di conflitti tra ordinamenti.

In tale contesto, il Modello OCSE è lo standard di riferimento per la stipula delle convenzioni internazionali. Quando due Stati rivendicano la residenza fiscale della stessa società, si applica il cosiddetto “tie-breaker rule”, una regola di risoluzione del conflitto che guarda:

  • alla sede di direzione effettiva;
  • al luogo dell’amministrazione centrale;
  • e, in mancanza, a criteri residuali concordati dalle autorità competenti.

Questo strumento impedisce la doppia imposizione, ma non protegge una società artificiosamente esterovestita: se l’Italia riesce a dimostrare che la sede di direzione effettiva è sul territorio nazionale, può ignorare la sede estera e assoggettare a tassazione il soggetto come residente italiano.

In materia di prevenzione dell’uso abusivo dei trattati fiscali, assume rilievo anche il Protocollo OCSE BEPS – Action 7, che mira a limitare il fenomeno del treaty shopping e a ridefinire i criteri per l’attribuzione di una stabile organizzazione. Questo strumento rafforza l’azione delle autorità fiscali italiane nell’evitare che società esterovestite sfruttino in maniera indebita i benefici convenzionali.

Bisogna anche considerare che le convenzioni internazionali si basano sul principio della substance over form, ovvero sulla prevalenza della sostanza economica e gestionale rispetto all’apparenza giuridica. Di conseguenza:

  • una sede estera fittizia,
  • amministratori “di comodo” residenti fuori dall’Italia,
  • o assetti societari creati unicamente per ottenere vantaggi fiscali,

Non reggono di fronte a una verifica incrociata tra autorità fiscali, come previsto dai protocolli BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) e dallo scambio automatico di informazioni (Common Reporting Standard: CRS).

In ultimo (ma non per importanza), dal 2017 l’Italia partecipa al CRS, promosso dall’OCSE, che consente lo scambio automatico di informazioni tra autorità fiscali di oltre 100 Paesi.

Questo significa che:

sono oggetto di comunicazione diretta tra gli Stati coinvolti. Una società residente formalmente all’estero, ma operativa in Italia, non può più contare sul silenzio delle banche o delle autorità estere. In pratica, l’era dell’opacità fiscale è finita: ciò che conta è dove si decide, dove si lavora, dove si genera valore.

Come difendersi da un’accusa di esterovestizione

Ricevere una contestazione di esterovestizione societaria da parte dell’Agenzia delle Entrate non è solo un problema tributario: è un attacco diretto alla legittimità dell’intera struttura aziendale.

Le conseguenze possono essere devastanti, sia in termini economici che penali. Ecco perché la difesa deve essere strutturata su più livelli, fin dall’origine.

Difesa preventiva

Una strategia efficace non nasce dall’improvvisazione, ma da un’attenta pianificazione. Prima di costituire una società all’estero, è fondamentale:

  • Progettare un modello societario coerente con l’operatività reale.
  • Selezionare la giurisdizione non solo per la fiscalità, ma anche per la solidità normativa e le regole di compliance.
  • Evitare soluzioni “preconfezionate” o domiciliazioni di facciata che, in caso di verifica, non reggerebbero al vaglio dell’Amministrazione finanziaria.

Difesa documentale

In presenza di un accertamento, il contribuente deve essere in grado di dimostrare la reale sostanza economica e gestionale della sede estera. Gli elementi documentali chiave includono:

  • Prova della presenza reale e continuativa della sede amministrativa all’estero.
  • Gestione effettiva svolta da soggetti non residenti, con deleghe operative e strategiche tracciabili.
  • Disponibilità di uffici, infrastrutture, personale e contabilità nella giurisdizione estera.
  • Contratti, corrispondenza, verbali e delibere societarie redatti e sottoscritti all’estero.
  • Rispetto puntuale degli obblighi fiscali e contributivi locali.

Un fascicolo probatorio ben strutturato, redatto da esperti di fiscalità internazionale, è spesso l’unico scudo reale contro un’accusa di esterovestizione.

Difesa in fase contenziosa

Quando la contestazione è già formalizzata, la difesa passa alla fase tecnica:

  • Predisposizione di memorie difensive per confutare gli indici presuntivi.
  • Presentazione di istanze di autotutela per correggere eventuali errori di valutazione dell’Ufficio.
  • Gestione del contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate.
  • Assistenza legale completa in giudizio tributario, fino in Cassazione se necessario.

Dalla prevenzione al contenzioso, solo un team legale specializzato in diritto tributario internazionale può costruire una strategia vincente.

Il Controllo del fisco e l’attività di accertamento

Quando si parla di esterovestizione societaria, l’attività di controllo messa in atto dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza è estremamente strutturata, invasiva e basata su indici presuntivi. Non è necessario un “prova regina” per far scattare l’accertamento: spesso basta una combinazione di elementi a far rientrare una società nello spettro della contestazione.

Le verifiche dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza

L’Agenzia delle Entrate agisce attraverso:

  • richieste di documentazione,
  • questionari mirati,
  • incroci di dati con l’Anagrafe dei rapporti finanziari,
  • verifiche sui flussi internazionali di capitale e fatturazione.

La Guardia di Finanza, invece, esegue accessi ispettivi, perquisizioni, sequestri di dispositivi e interrogatori dei soci, quando ritiene di trovarsi di fronte a un caso di frode fiscale complessa.

Anche una semplice assenza del rappresentante estero o la mancanza di operatività della sede estera può essere interpretata come indizio di esterovestizione.

Gli strumenti di cooperazione internazionale

Dal 2017, l’Italia beneficia di un ampio ventaglio di strumenti di cooperazione internazionale in materia fiscale, tra cui:

  • CRS (Common Reporting Standard): lo scambio automatico di informazioni finanziarie tra Stati.
  • Direttiva DAC6 e successivi aggiornamenti UE: per il monitoraggio delle operazioni transfrontaliere potenzialmente elusive.
  • Direttiva DAC7: in vigore dal 2023, impone alle piattaforme digitali l’obbligo di comunicare alle autorità fiscali i dati sui venditori e sulle entità estere che operano online, consentendo così un incrocio puntuale delle informazioni con i registri fiscali nazionali e internazionali.
  • Trattati bilaterali contro le doppie imposizioni: che spesso includono clausole antiabuso (clausole di “beneficial ownership” e “principal purpose test”).

Le informazioni raccolte all’estero, spesso attraverso banche o autorità fiscali straniere, vengono poi utilizzate per fondare accertamenti retroattivi fino a 5 anni (e oltre, in caso di reato tributario).

Le presunzioni legali e la prova contraria

Ai sensi della normativa italiana, una società con sede legale estera può essere considerata fiscalmente residente in Italia quando:

  • è controllata, direttamente o indirettamente, da soggetti residenti;
  • è amministrata da soggetti residenti;
  • svolge di fatto la propria attività principale in Italia.

In questi casi opera una presunzione relativa di residenza fiscale in Italia, e spetta al contribuente l’onere di dimostrare il contrario con elementi concreti e documentali, come:

  • contratti stipulati all’estero,
  • organigrammi,
  • email, PEC e comunicazioni interne,
  • prove di decisioni operative prese fuori dal territorio italiano.

Non basta una sede formale registrata in un Paese estero: serve sostanza, coerenza e continuità documentale.

Esterovestizione e reati fiscali

Nel momento in cui l’Amministrazione finanziaria accerta l’esterovestizione di una società, le conseguenze non si limitano al solo piano amministrativo e tributario.

In presenza di determinati elementi, l’esterovestizione può integrare veri e propri reati fiscali, con profili di responsabilità penale a carico degli amministratori, soci o professionisti coinvolti.

Quando l’esterovestizione diventa evasione fiscale

L’esterovestizione assume rilievo penale quando è lo strumento attraverso cui viene occultato un reddito imponibile in Italia. In altre parole, quando lo spostamento della sede legale all’estero è un mero artificio (privo di sostanza economica) finalizzato a sottrarre materia imponibile al Fisco italiano.

Il trasferimento fittizio della residenza fiscale all’estero viene qualificato come:

  • dichiarazione infedele (art. 4 D.lgs. 74/2000),
  • omessa dichiarazione (art. 5 D.lgs. 74/2000),
  • o, nei casi più gravi, dichiarazione fraudolenta mediante uso di artifici (art. 3 D.lgs. 74/2000).

La configurazione dell’una o dell’altra fattispecie dipende dall’entità del tributo evaso, dalla condotta e dai mezzi utilizzati per eludere l’obbligo dichiarativo.

È importante ricordare che le soglie di punibilità non sono identiche per tutte le fattispecie:

  • Art. 4 D.lgs. 74/2000 (dichiarazione infedele): soglia di punibilità fissata a 150.000 euro di imposta evasa.
  • Art. 5 D.lgs. 74/2000 (omessa dichiarazione): soglia fissata a 50.000 euro di imposta evasa.

La riforma dell’art. 13 D.lgs. 74/2000 ha inoltre rivisto le condizioni di non punibilità, limitandole ai casi di integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, rendendo quindi più difficile l’accesso a questa causa di esenzione penale.

Il reato di omessa dichiarazione e le sanzioni penali

Uno dei rischi più concreti in caso di esterovestizione è la contestazione dell’omessa dichiarazione dei redditi prodotti dalla società all’estero. Se la società è considerata fiscalmente residente in Italia, ma non ha presentato dichiarazioni dei redditi in Italia per gli anni contestati, si può configurare questo reato penale, che prevede:

  • reclusione da 1 anno e 6 mesi a 4 anni,
  • confisca del profitto del reato,
  • interdizione dagli uffici direttivi delle imprese.

La soglia di punibilità si supera facilmente, specialmente nei casi in cui il volume d’affari estero è rilevante.

Differenza tra abuso del diritto e evasione fiscale

Un punto spesso frainteso è la distinzione tra abuso del diritto (art. 10-bis L. 212/2000) e evasione fiscale.

L’abuso del diritto è una condotta lecita sotto il profilo formale, ma priva di valide ragioni economiche diverse dal risparmio d’imposta, mentre l’evasione si basa su comportamenti illeciti e penalmente rilevanti.

Nel caso dell’esterovestizione:

  • se l’attività all’estero non esiste realmente, si è nel campo dell’evasione;
  • se l’attività è reale ma inutilmente complessa, potrebbe esserci abuso del diritto.

In entrambi i casi, però, il contribuente è esposto a un accertamento fiscale retroattivo, sanzioni elevate e possibili procedimenti penali.

Come tutelarsi dal rischio di esterovestizione

L’esterovestizione è una trappola fiscale che può costare anni di accertamenti, milioni in sanzioni e, nei casi peggiori, la responsabilità penale degli amministratori.

Chi sceglie di internazionalizzare la propria attività o aprire una società all’estero non può permettersi approcci improvvisati, moduli scaricati da internet o “soluzioni preconfezionate”. Serve metodo, competenza e una visione legale integrata. Serve un professionista che sappia come ragiona il Fisco.

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  • Conformità multilivello con le convenzioni OCSE, il diritto tributario italiano e i trattati contro la doppia imposizione.
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