Aprire un’attività all’estero è perfettamente legale. Ma farlo nel modo sbagliato può trasformarsi in una trappola fiscale e penale che molti sottovalutano. Ogni anno, decine di imprenditori si affidano a soluzioni superficiali, credendo di risparmiare. Quello che ottengono, nella realtà, sono contestazioni per esterovestizione, blocchi bancari e sanzioni milionarie.
Abbiamo costruito questo articolo per essere uno strumento pratico, dedicato a chi vuole aprire un’azienda all’estero in modo strutturato, legittimo e protetto, conoscendo vantaggi reali, Paesi più favorevoli, errori ricorrenti e criteri giuridici da rispettare.
Se vuoi operare in modo serio nei mercati internazionali, la strategia deve partire dalla legge. Il resto viene dopo. In questa guida troverai quello che devi sapere prima di prendere decisioni operative: cosa è permesso, cosa è rischioso e come tutelarti a norma di legge.
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È legale aprire un’attività all’estero?
Contenuti dell'articolo
Non esiste alcuna legge che impedisca a un cittadino italiano di costituire una società all’estero. Tuttavia, la legalità formale non coincide automaticamente con la correttezza fiscale e operativa del progetto.
La normativa italiana, in particolare l’art. 73 del TUIR→, stabilisce criteri precisi per determinare dove un’impresa è fiscalmente residente.
Se un’azienda viene formalmente registrata all’estero ma gestita di fatto dall’Italia, l’Agenzia delle Entrate può considerarla “esterovestita”, con conseguenze gravi: recupero delle imposte, sanzioni pesanti e, in alcuni casi, responsabilità penali.
Tuttavia, sempre secondo l’art. 73, comma 3, del TUIR, una società estera può essere considerata fiscalmente residente in Italia se è controllata da soggetti residenti in Italia e se ha sede amministrativa o oggetto principale dell’attività sul territorio italiano, anche se formalmente registrata all’estero.
Ma cosa distingue un’attività estera legittima da una illegittima?
- La sede amministrativa: le decisioni aziendali devono essere prese nel Paese dove la società è registrata.
- L’attività operativa: la società deve svolgere concretamente il proprio business nello Stato estero, non solo “per apparenza”.
- L’indipendenza gestionale: non può essere una semplice scatola vuota amministrata da prestanomi o diretta dall’Italia in modo occulto.
Aprire una società all’estero è perfettamente legale, a patto che sia effettivamente operativa, gestita localmente e non solo formalmente registrata per motivi fiscali. In caso contrario, si entra nel territorio dell’illecito.
In quale Paese estero conviene aprire una ditta?
La scelta della giurisdizione dipende da molteplici fattori: fiscali, operativi, logistici, normativi, personali. Parlare di “convenienza” senza analizzare il caso specifico significa esporsi a rischi inutili.
La “convenienza” sussiste solo se c’è una valida ragione economica, un progetto reale e una strategia pianificata. Paesi come Malta, Cipro, Irlanda, Croazia, Slovenia, Estonia, Emirati Arabi Uniti possono essere opzioni da valutare, ma solo dopo un’analisi professionale dettagliata del caso specifico.
Detto ciò, esistono 5 criteri principali che è possibile valutare per la corretta selezione del Paese:
1. Regime fiscale
Molti Stati esteri offrono aliquote fiscali più basse rispetto all’Italia, o regimi agevolati per imprese nuove o investitori stranieri. Alcuni esempi:
- Irlanda: corporate tax al 12,5%
- Malta: possibilità di rimborsi fiscali sui dividendi fino all’85%
- Cipro: flat tax al 12,5% con sistema flessibile per holding e IP
- Estonia: tassazione posticipata, solo sui profitti distribuiti
2. Stabilità normativa e giuridica
Un Paese con regole chiare, tribunali efficienti e uno Stato di diritto solido è preferibile rispetto a giurisdizioni opache o instabili, anche se meno tassate.
3. Logistica e mercati di riferimento
Se l’attività implica spedizioni, presenza fisica o relazioni frequenti con clienti o fornitori, conviene scegliere un Paese ben collegato logisticamente e con accesso a mercati strategici (es. UE o EFTA).
4. Aspetti pratici e bancari
Aprire un conto corrente aziendale in alcune giurisdizioni (es. Regno Unito, Slovenia, San Marino) è oggi quasi impossibile senza presenza locale o supporto professionale, rendendo la gestione impraticabile.
5. Reale trasferimento dell’attività
Un’impresa estera non può essere una facciata: la struttura, i collaboratori e l’attività devono essere effettivamente localizzati nel Paese scelto. Questo esclude dall’elenco tutti i “paradisi fiscali” come Malta, Gibilterra, Panama, ecc… usati solo come domicilio fittizio.
6 vantaggi concreti di aprire un’azienda all’estero
Chi apre un’azienda all’estero lo fa per due motivi principali: fiscalità meno aggressiva e minore burocrazia. Tutto il resto è contorno, seppur vantaggioso.
1. Tassazione più competitiva
Non è un segreto: in molti Paesi, il carico fiscale è decisamente più leggero rispetto all’Italia. Alcuni esempi pratici:
- Croazia: aliquota al 10% sotto i 400.000 €
- Bulgaria: flat tax 10%
- Ungheria: imposta sulle società al 9%
- Emirati Arabi: tassazione azzerata in alcune free zone
Non si tratta solo di aliquote, ma anche di strutture di deduzione più favorevoli, incentivi agli investimenti, regimi di holding efficienti.
2. Maggiore rispetto per l’imprenditore
In alcune giurisdizioni l’imprenditore non viene trattato come un potenziale evasore. Ciò si traduce in meno controlli paralizzanti, meno burocrazia pretestuosa, più libertà di azione.
3. Semplificazione normativa
Molti Paesi prevedono forme societarie snelle, capitali sociali minimi, obblighi contabili più leggeri. La gestione ordinaria è più fluida e meno costosa.
4. Accesso a nuovi mercati
Aprire una società in una determinata area geografica può facilitare l’accesso a clienti e fornitori locali, oppure rappresentare un requisito necessario per partecipare a gare o contratti pubblici.
5. Protezione patrimoniale
In alcune configurazioni (es. holding estere), la struttura internazionale può offrire una separazione più netta tra patrimonio personale e aziendale, con un’efficace funzione di tutela.
6. Costi operativi ridotti
Stipendi più bassi, affitti contenuti, minori costi notarili e bancari. L’efficienza economica si costruisce anche con questi dettagli.
Questi elementi, se valutati con precisione e supportati da una pianificazione professionale, possono tradursi in un reale vantaggio competitivo.
Qual è la procedura per aprire un’azienda all’estero
Costituire un’impresa all’estero richiede un approccio preciso, fondato su una solida pianificazione legale e fiscale. Le fasi da considerare sono molteplici e spesso dipendono dalla giurisdizione scelta, ma ci sono alcuni elementi ricorrenti in ogni operazione ben impostata.
1. Analisi preliminare della giurisdizione
Ogni Paese offre condizioni fiscali, normative e operative differenti. Una consulenza preventiva consente di valutare con precisione:
- il regime impositivo effettivo e l’eventuale presenza di trattati contro la doppia imposizione con l’Italia;
- l’efficienza del sistema bancario e giudiziario;
- la stabilità politica, il livello di trasparenza e i costi di mantenimento societario.
2. Formalizzazione della struttura societaria
Scelta la giurisdizione, è necessario definire:
- la forma giuridica più adatta (Ltd, GmbH, D.O.O., ecc.);
- l’oggetto sociale coerente con l’attività da svolgere;
- la distribuzione delle quote e la struttura decisionale interna (socio unico, amministratore delegato, board).
3. Apertura della posizione fiscale e bancaria
La registrazione presso il registro delle imprese locale richiede una serie di documenti legalizzati. Allo stesso tempo, l’apertura di un conto corrente aziendale è oggi un’operazione complessa e spesso vincolata a requisiti stringenti di compliance. È indispensabile:
- dimostrare la sostanza economica della società;
- fornire la documentazione antiriciclaggio e il KYC di tutti i soggetti coinvolti;
- attivare la partita IVA locale e l’eventuale iscrizione al sistema VIES, se si opera in ambito UE.
4. Operatività e gestione continuativa
Una volta costituita la società, è fondamentale gestirla con continuità documentale e contabile. Ogni giurisdizione richiede:
- tenuta regolare dei registri contabili;
- presentazione dei bilanci annuali;
- eventuale presenza fisica della sede e dei soggetti decisionali, per evitare contestazioni di esterovestizione.
Che forma giuridica scegliere per l’apertura di una società estera?
Le opzioni disponibili variano in base alla giurisdizione, ma le più diffuse sono:
- Società a responsabilità limitata (Ltd, GmbH, D.O.O.): la forma preferita dagli imprenditori per attività commerciali. Offre protezione del patrimonio personale, flessibilità operativa e buone condizioni di compliance. È adatta anche a strutture holding.
- Branch o succursale estera: struttura giuridica che dipende direttamente dalla casa madre italiana. È utile quando si vuole estendere un’attività già esistente senza creare un soggetto giuridico autonomo. Tuttavia, non sempre garantisce i medesimi vantaggi fiscali o reputazionali di una società locale autonoma.
- Società di persone (SNC, società di partnership): poco utilizzate a livello internazionale, salvo in settori specifici o in giurisdizioni che ne valorizzano l’agilità e la tassazione trasparente. Non separano la responsabilità patrimoniale.
- Società per azioni (SA, AG, PLC): utilizzate per strutture di grandi dimensioni o in vista di investitori terzi. Comportano una gestione più articolata e oneri di reporting superiori.
- Società fiduciarie estere o veicoli offshore: adatte solo a operazioni internazionali particolari, da gestire esclusivamente con l’assistenza di specialisti in diritto societario internazionale, al fine di evitare contestazioni per abuso di diritto o esterovestizione.
Attenzione: scegliere la forma giuridica senza considerare il tipo di attività, la residenza fiscale dei soci e il mercato di riferimento può portare a gravi conseguenze fiscali!
Dove si pagano le tasse in caso di apertura di un’azienda all’estero?
Uno degli errori più comuni (e più pericolosi) è credere che basti costituire una società fuori dai confini italiani per beneficiare automaticamente di un regime fiscale più favorevole. Non è così.
La normativa italiana prevede che una “stabile organizzazione” (art. 162 TUIR) possa esistere anche in assenza di una sede fisica, se l’attività viene concretamente esercitata dall’Italia. È sufficiente che vi sia una presenza economica significativa e continuativa, anche solo tramite un rappresentante o strumenti digitali gestiti dall’Italia.
Il criterio determinante per stabilire la residenza fiscale di una società non è dove è registrata, ma dove è effettivamente gestita.
Secondo l’art. 73 del TUIR e le direttive OCSE, una società si considera fiscalmente residente in Italia se:
- Ha la sede legale o amministrativa in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta;
- Prende le decisioni strategiche e operative dal territorio italiano;
- Opera concretamente sul mercato italiano, anche se formalmente domiciliata all’estero.
Questo significa che una società con sede legale all’estero e sede operativa in italia→ può esporre a gravi contestazioni fiscali, fino alla configurazione di reati di elusione e alla cosiddetta esterovestizione.
L’Italia ha sottoscritto oltre 90 trattati contro la doppia imposizione fiscale (CDI), che evitano la duplicazione della tassazione solo in presenza di una residenza fiscale estera→ effettiva e dimostrabile, conforme al modello OCSE.
Tuttavia, la loro applicabilità dipende dalla regolarità formale e sostanziale della sede estera e da una corretta pianificazione fiscale.
Quando le tasse si pagano all’estero, in modo legittimo:
- La società è gestita effettivamente nel paese di registrazione;
- I soci e/o l’amministratore hanno trasferito la residenza fiscale all’estero;
- L’attività commerciale è rivolta a mercati stranieri, non a quello italiano.
Quando, invece, le tasse si devono pagare in Italia:
- L’azienda è una “scatola vuota” gestita dall’Italia;
- I clienti, i fornitori e le operazioni avvengono principalmente in Italia;
- L’amministratore prende decisioni operative dall’Italia.
Il concetto chiave è la “stabile organizzazione occulta”: anche senza una sede fisica in Italia, l’Agenzia delle Entrate può ritenere che l’attività sia fiscalmente rilevante sul territorio nazionale, se vi è una gestione concreta e continuativa in loco.
Di fatto, strutture fittizie o prive di sostanza economica possono essere disconosciute dall’Agenzia delle Entrate per abuso del diritto, ai sensi dell’art. 10-bis della Legge 212/2000.
Ciò comporta l’annullamento degli effetti fiscali e l’applicazione di sanzioni retroattive.
Aprire una società all’estero ed evitare l’esterovestizione: ecco come fare
Aprire una società all’estero è perfettamente legale, ma solo a condizione che venga fatto nel rispetto pieno delle normative fiscali e giuridiche internazionali. In caso contrario, l’imprenditore rischia di incorrere in una contestazione per esterovestizione, con conseguenze che possono includere sanzioni fiscali, responsabilità penale e l’invalidazione della struttura societaria creata.
Lo Studio Legale Internazionale Bertaggia rappresenta un punto di riferimento in Italia per chi desidera costituire società estere in modo legale, sicuro e strategicamente vantaggioso. La nostra attività non si limita all’esecuzione burocratica dell’atto costitutivo: accompagniamo l’imprenditore in ogni fase del processo, analizzando:
- il Paese più adatto in base al modello di business;
- la forma giuridica ideale in relazione a responsabilità, governance e tassazione;
- i rischi di doppia imposizione e come evitarli;
- gli adempimenti necessari per dimostrare la sostanza economica dell’attività estera, requisito fondamentale per la sua legittimità.
Con oltre 30 anni di esperienza nel diritto societario internazionale e fiscalità estera, il nostro Studio offre:
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Ogni società estera che aiutiamo a costituire è conforme, sostenibile e pronta per operare in maniera stabile nei mercati esteri, con una pianificazione che tiene conto della residenza fiscale, della sede amministrativa effettiva e della distribuzione degli utili.
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